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Come gestire geneticamente
una piccola popolazione

Uno dei problemi maggiori nell’allevamento di razze a limitata diffusione, come la Capra Cilentana, è l’aumento della consanguineità (ossia la percentuale di geni allo stato omozigote) ad ogni generazione, evento inevitabile perché il numero dei riproduttori è limitato. Come è noto, l’aumento della consanguineità, al di sopra di determinati valori, riduce la variabilità genetica nella popolazione animale e quindi la sua capacità di adattamento all’ambiente e di risposta alla selezione, oltre agli effetti negativi, assolutamente non trascurabili, sulla fertilità, sulla sopravvivenza e sulle produzioni.

Allora come gestire geneticamente un gregge di Capre Cilentane?

Di seguito alcuni consigli pratici:

  1. cercare di aumentare il numero di riproduttori maschi e fare in modo che ciascun riproduttore abbia lo stesso numero di figli riproduttori maschi che si accoppiano con un numero uguale di femmine;
  2. cercare di scegliere i riproduttori maschi ad ogni generazione in base ai rapporti di parentela;
  3. evitare l’accoppiamento tra soggetti parenti stretti (padre con figlia o madre con figlio o fratello con sorella) e favorire accoppiamenti tra individui con rapporti di parentela lontani; un’ottima strategia sarebbe far ruotare i riproduttori maschi tra le aziende.

L’alimentazione

Il gruppo di ricerca del Prof. Infascelli del DMVPA studia quali materie prime ad integrazione del pascolo siano più idonee per favorire le potenzialità produttive della Capa Cilentana ed al tempo stesso più economiche. Si deve sottolineare, infatti, che una razione alimentare equilibrata e ad hoc è alla base per una corretta e proficua gestione di qualsiasi animale allevato ai fini zootecnici.

Infatti, aumentando in modo scriteriato la quantità di miscela (ad integrazione del pascolo), gli animali diminuiscono l’ingestione di erba e quindi di fibra, con conseguente riduzione dei livelli di grasso nel latte. Fattore assolutamente sconveniente per la resa casearia.

Inoltre, per garantire una migliore efficienza nell’utilizzazione degli aminoacidi, nei ruminanti sono consigliate razioni in cui la quota di proteine degradabili (provenienti dal pascolo) ed indegradabili (presenti nella miscela) siano equilibrate.

La miscela che ad oggi ha meglio risposto alle esigenze della Capra Cilentana è quella costituita da orzo e favino, in proporzioni da calcolare in funzione dei fabbisogni nutritivi degli animali. 

Una strategia alimentare che ha fornito risultati incoraggianti, nel caso di pascolo costituito dal 60% di graminacee e dal 40% di leguminose, è quella che prevede:

-nel preparto, in aggiunta ad un fieno di graminacee ad libitum, la somministrazione di miscela in ragione di 150 – 250 e 300 g/capo/giorno, rispettivamente 45 – 30 e 15 giorni prima della presunta data del parto. 

-dopo il parto, la quantità di miscela va gradualmente aumentata sino ad un massimo di 400 grammi/capo/giorno, in funzione delle capacità produttiva del gregge e dello stato vegetativo del pascolo.

Come è noto la qualità del latte risente molto delle caratteristiche dietetico-nutrizionali, fattori che insieme alla genetica sono gli unici elementi in grado di conferire valore aggiunto alle produzioni di razze autoctone come la Capra Cilentana e giustificare pienamente un allevamento di tipo brado o semibrado. 

Negli ultimi anni, numerose ricerche hanno sottolineato l’importanza per la salute umana della presenza negli alimenti di un adeguato profilo acidico dei grassi, in particolare dei CLA (acronimo per Acido Linolenico Coniugato) naturalmente presenti nella carne e nel latte dei ruminanti. 

La formazione dei CLA avviene nel rumine e anche nella ghiandola mammaria, a partire dagli acidi grassi presenti nella dieta degli animali: quantità maggiori si riscontrano nel latte di animali allevati al pascolo, dal momento che nell’erba sono presenti i loro precursori, l’acido linoleico e soprattutto l’acido α-linolenico. Un altro punto a favore del latte prodotto da animali allevati in modo estensivo come la Capra Cilentana.

Controlli sanitari: gli esami parassitologici

Un allevamento caprino al pascolo senza parassiti non esiste.

Le attività di monitoraggio svolte da due decenni presso il Centro Regionale per il Monitoraggio delle Parassitosi (CReMoPAR, Eboli, Salerno) evidenziano la presenza e la diffusione di numerosi parassiti negli allevamenti caprini della Regione Campania, incluse le Capre Cilentane del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.

I parassiti dei piccoli ruminanti incidono in maniera significativa sul benessere e sulle produzioni del comparto, con perdite economiche complessive che vanno ben oltre il 30% del prodotto lordo vendibile.

La norma è di trovare in uno stesso allevamento e spesso in uno stesso animale, diverse specie di parassiti contemporaneamente presenti. I protozoi sono i più diffusi: tra questi, i coccidi del genere Eimeria sono costantemente presenti nel 100% degli allevamenti. Diffusissimi sono anche i nematodi a localizzazione gastrointestinale che parassitano la quasi totalità degli allevamenti; i generi più frequenti sono Teladorsagia, Haemonchus, Trichostrongylus, Nematodirus, Oesophagostomum, Chabertia e Bunostomum. Notevolmente presenti sono anche i nematodi a localizzazione broncopolmonare (Dictyocaulus ed i Metastrongili), i trematodi Dicrocoelium dendriticum, Fasciola hepatica e Calicophoron daubneyi, nonché i cestodi del genere Moniezia. Da non sottovalutare le infestazioni da ectoparassiti (zecche, pidocchi, pulci ed acari della rogna).

La presenza contemporanea di più generi e/o specie differenti parassiti, nella maggior parte dei casi è all’origine di un’azione infiammatoria/traumatica e di sottrazione dei principi nutritivi che si riflette negativamente sul benessere, sull’accrescimento, sulla fecondità e più in generale sulla capacità produttiva delle capre al pascolo. I danni arrecati da questi parassiti sono ben conosciuti tra gli addetti ai lavori che richiedono spesso adeguati interventi profilattico-terapeutici per contrastare i loro effetti negativi.

Credenza comune è che l’utilizzo di antiparassitari ad ampio spettro sia sufficiente per il controllo e il contenimento della diffusione di questi parassiti, ma non è così semplice.

Nella pratica quotidiana, il controllo delle parassitosi nei caprini viene affidato ad una serie di trattamenti in vari periodi dell’anno, seguendo tradizioni e suggerimenti che spesso sono preconizzati per gli ovini, utilizzando prodotti antiparassitari senza fare una precisa diagnosi, con la inevitabile conseguenza di utilizzare farmaci verso parassiti non presenti o non trattare parassiti realmente presenti. A questo si aggiunge il rischio di residui nel latte e nella carne, oltre al rischio di insorgenza di farmaco resistenza ed alla ingiustificata dispersione di farmaci nell’ambiente. Eppure la capra presenta peculiarità inerenti le abitudini alimentari, la intensità delle infezioni parassitarie, la resistenza genetica verso i parassiti, la posologia dei farmaci (per la maggior parte degli antelmintici nelle capre sono necessari dosaggi 1,5-2 volte superiori rispetto a quanto stabilito per le pecore).

E’ fondamentale sottolineare che il processo che porta ad un corretto controllo delle parassitosi nelle capre passa per più fasi: una precisa diagnosi, la scelta della molecola da utilizzare in base al responso diagnostico, il dosaggio, il numero di trattamenti e soprattutto il periodo di trattamento.

Somministrare farmaci antiparassitari senza una precisa diagnosi oggi non è più accettabile nell’ottica di una zootecnia che guarda al futuro, alla biodiversità ed al rispetto del benessere animale, alla salvaguardia dell’ambiente, alla sicurezza del consumatore ed alla prevenzione della farmaco resistenza.

Pertanto, ogni allevamento/gruppo di capre dovrebbe essere sottoposto a monitoraggio parassitologico almeno 2 volte l’anno utilizzando tecniche multivalenti di elevata sensibilità ed accuratezza (tecniche FLOTAC) eseguite presso i laboratori certificati del CReMoPAR (Strada Statale 18, Località Cioffi, Eboli, Salerno; Tel. 081-2520700). Si consiglia di contattare il CReMoPAR per modalità di prelievo e spedizione campioni.

Cosa fare per valorizzare le produzioni

Attualmente il Cacioricottadel Cilento è stato inserito tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani (PAT) ed è un presidio Slow Food, sostenuto dal Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.

Premi comunitari

Il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Campania 2014-2020, Sottomisura 10.1.5 “Allevamento e sviluppo sostenibili delle razze autoctone minacciate di abbandono” prevede un contributo di 200 €/UBA (Unità Bovino Adulto, quindi circa 30 €/Capra Cilentana) all’anno per 5 anni per ciascuna azienda che detiene soggetti iscritti al Registro Anagrafico delle popolazioni ovine caprine a limitata diffusione e alla Banca Dati Nazionale. 

L’iscrizione degli animali al Registro Anagrafico delle popolazioni ovine caprine a limitata diffusione è subordinata alla valutazione morfologica dell’esperto di razza inviato dall’ASSONAPA (Associazione Nazionale della Pastorizia) tramite l’ARAC (Associazione Regionale Allevatori della Campania).

Per accedere e mantenere il diritto al premio, ciascuna azienda deve mantenere la consistenza del nucleo di TGA non inferiore a quella del primo anno in cui ha avuto diritto al contributo, deve allevare in purezza i soggetti e attuare un programma di accoppiamento finalizzato alla salvaguardia del TGA.

La presentazione delle domande deve avvenire per via telematica utilizzando le funzionalità on line messe a disposizione dall’Agenzia Nazionale per Erogazioni in Agricoltura (AGEA) attraverso il Sistema Informativo Agricolo Nazionale (SIAN).

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